Differenze con lo Smart Working, prerogative ed evoluzione di un approccio all’attività professionale che può generare benefici consistenti per organizzazioni, lavoratori e ambiente. «Il telelavoro vincola a lavorare da casa e l’azienda trasferisce le medesime responsabilità del posto di lavoro a casa del dipendente»,
Spesso per semplificare si tende a confondere o peggio a sostituire il concetto di telelavoro con quello di Smart Working, traducibile in italiano con l’espressione “lavoro agile”. In realtà i due approcci – sebbene resi possibili da strumenti informatici simili – differiscono molto l’uno dall’altro. Non solo sul piano teorico, ma anche nelle prassi e specialmente nella normativa che regola i rapporti tra le aziende e i dipendenti che in pianta stabile lavorano da casa.
Che cos’è e come funziona il telelavoro Cerchiamo di dipanare i dubbi e vediamo da vicino cos’è e come funziona il telelavoro, cominciando col delinearne brevemente lo sviluppo. Se sono state negli ultimi vent’anni le tecnologie digitali e soprattutto la connettività Internet a permetterne concretamente la diffusione, l’idea di far lavorare i dipendenti da casa è nata negli Anni ’70, con l’arrivo sul mercato dei primi PC che, pur non disponendo di accesso ad alcuna rete, facevano già ipotizzare ad alcuni sociologi la possibilità di svolgere molte mansioni senza doversi recare in ufficio. L’austerity causata dalla crisi petrolifera del 1973 indusse – come ricorda il ricercatore Patrizio di Nicola – il governo degli Stati Uniti a valutare il concetto di “telecommuting”: spostare i dati anziché far spostare le persone. E qualcuno ci provò, per lo meno nell’ambito delle Tlc: il progetto “Alternative Work Arrangement” di Bell puntava a sfruttare le tecnologie di connettività proprietarie per permettere, in via sperimentale, ad alcuni dipendenti di lavorare da casa o in specifici hub. AT&T addirittura prevedeva che nel 2000 il telelavoro avrebbe coinvolto l’intera popolazione americana, ridimensionando poi la stima al 40% degli occupati. Invece, alla fine degli anni ’90, negli Stati Uniti i telelavoratori erano circa 16 milioni, mentre in Europa, grazie anche alla spinta della Commissione e delle Pubbliche amministrazioni (risalgono per esempio al 2000 l’accordo quadro nazionale italiano e al 2004 l’accordo interconfederale per il contesto europeo), le persone che lavoravano da remoto erano in quegli anni circa nove milioni. Oggi è molto più difficile definire confini precisi alla diffusione della pratica, proprio per l’ibridazione concettuale con lo Smart Working. Vediamo dunque cosa differenzia un approccio dall’altro.
Che cosa non è telelavoro A differenza del telelavoro, lo Smart Working, per definizione, presuppone flessibilità e adattamento delle risorse umane in funzione degli strumenti che si hanno a disposizione. L’assonanza con la parola smartphone è, d’altra parte, evidente. È la mobilità l’elemento che contraddistingue questa forma lavorativa da remoto, la possibilità di svolgere i propri compiti virtualmente in qualsiasi luogo. Anche all’interno dell’azienda, perché no, in ambienti appositamente pensati per il co-working o, sempre più spesso, nelle cosiddette huddle room, spazi dedicati a brevi riunioni improvvisate. Il telelavoro è invece basato sull’idea che il dipendente abbia una postazione fissa, ma dislocata in un luogo diverso dalla sede aziendale. Per l’appunto, tipicamente a casa del lavoratore.«Il telelavoro tradizionale vincola il lavoratore a lavorare da casa e l’azienda trasferisce le medesime responsabilità del posto di lavoro nella casa del dipendente. Lo Smart Working invece prevede che l’azienda e il dipendente ridefiniscano in modo flessibile le modalità di lavoro in termini di luogo e di orario. Smart working vuol dire rivedere anche la funzione dell’ufficio che diventa un luogo dove si collabora e si incontrano i clienti, che sia più efficace a seconda delle esigenze dei dipendenti». Cosa ci guadagnano le aziende: i vantaggi del telelavoro per il business Per le aziende, del settore privato come di quello pubblico, la formula del telelavoro è estremamente conveniente: a partire dai consumi elettrici legati all’utilizzo di postazioni informatiche, illuminazione degli uffici e climatizzazione, permettere ai propri dipendenti di lavorare da casa o anche solo di gestire gli straordinari in telelavoro significa risparmiare sensibilmente sulla spesa corrente e sulla manutenzione delle strutture. Cambia in meglio anche il modo in cui l’organizzazione si interfaccia con le risorse umane, a patto naturalmente di sviluppare i giusti strumenti per la gestione dei team virtuali e ottimizzando i canali digitali. Gli sportelli fisici dell’ufficio HR possono essere sostituiti da contact center e piattaforme di social business network che, se opportunamente implementate su soluzioni di intelligenza artificiale, diventano sempre più efficienti grazie all’introduzione degli assistenti virtuali.I vantaggi per il dipendente e i benefici per la produttività Il dipendente che lavora da casa ha d’altra parte la possibilità di gestire meglio il proprio work-life balance, focalizzandosi al tempo stesso sulle attività prioritarie godendo del silenzio e della concentrazione dell’ambiente domestico. Il tempo solitamente impiegato per gli spostamenti casa-ufficio può essere valorizzato, devolvendolo sia per gli impegni lavorativi che per quelli personali, abbattendo inoltre i costi (e, va detto, lo stress) legati al pendolarismo. A beneficiarne sarà prima di ogni altra cosa l’umore, e quindi anche la produttività.I vantaggi ambientali Un’adozione di massa della pratica del telelavoro genererebbe pure indubbi benefici per l’ambiente. Basti pensare alla riduzione delle emissioni di CO2 e di polveri sottili causate dalla congestione del traffico, dall’utilizzo dei veicoli necessari a raggiungere il posto di lavoro e, di nuovo, dagli impianti di climatizzazione degli uffici.Normative del telelavoro: regolamentazione nel privato e nella PA A stabilire quali sono le prerogative delle aziende – pubbliche e private – e dei dipendenti rispetto alle varie forme contrattuali di telelavoro c’è un corpus normativo piuttosto consistente. A parte i già citati accordi quadro italiano ed europeo, il lavoro da remoto nella Pubblica Amministrazione è espressamente consentito dall’articolo 4 della legge 191 del 1998 che, applicabile anche al settore privato, fornisce delle linee guida su uso della postazione, modalità di connessione e di autenticazione ai sistemi, comunicazioni tra uffici e, dove previsto, utilizzo della firma digitale. Da ricordare anche la circolare Inps n. 52 del 27 febbraio 2015, che provvede alle istruzioni operative per l’attuazione dell’Accordo Nazionale sul progetto di telelavoro domiciliare. In Svizzera grazie alle odierne possibilità tecniche consentono di dissociare fisicamente l’attività professionale dai locali aziendali, aprendo così la strada a nuovi modelli lavorativi. Uno di questi è il telelavoro a domicilio, noto anche come «home office». Basandosi sulla legislazione sul lavoro, questo opuscolo spiega cosa devono fare il datore di lavoro e il lavoratore in caso di telelavoro a domicilio ed elenca alcuni degli accorgimenti cui occorre prestare attenzione.Telelavoro a domicilio - Home office (PDF, 2 MB, 20.02.2019) https://www.seco.admin.ch/dam/seco/it/dokumente/Publikationen_Dienstleistungen/Publikationen_Formulare/Arbeit/Arbeitsbedingungen/Broschueren/seco_bro_homeoffice.pdf.download.pdf/seco_broschuere_homeoffice_it.pdf
All’inizio ti senti al settimo cielo. Libertà assoluta, niente colleghi rompiscatole, né orari imposti né vacanze da fare in quel dato periodo. Poi però...". Poi però la nuova strada scelta, la professione con sede a casa, può comportare qualche effetto collaterale, "non sempre piacevole" aggiunge Reto Albertalli. Fotografo, 38 anni, da quindici indipendente, è stato uno dei pionieri del telelavoro che in Svizzera non è ancora un vero e proprio boom, come in Paesi quali la Danimarca, dove già oggi oltre un terzo dei lavoratori "diserta" l’ufficio. Ma anche nella Confederazione il numero di chi lavora a domicilio negli ultimi anni è in crescita. Non è tanto la percentuale totale ad essere elevata - uno studio del 2016 dell’Ufficio federale di statistica li stima al 5,1% sui 4,9 milioni di lavoratori totali in Svizzera - quanto la tendenza e il tipo di impiego. Nel 2010 tra chi lavorava da casa (4,8%), la stragrande maggioranza non utilizzava internet, mentre oggi la Rete è una presenza dominante. Se prima della cosiddetta "quarta rivoluzione industriale", a domicilio lavoravano soprattutto piccoli artigiani (molte donne), oggi sono i settori dell’insegnamento, dell’informazione e comunicazione e delle attività specializzate scientifico-tecniche a scegliere questa via. Lo dimostra un recente studio della società di consulenza Deloitte: per queste professioni il numero di ore dedicate al lavoro tra le mura domestiche è in aumento. Circa il 28% degli intervistati in un sondaggio spiega infatti di lavorare da casa almeno mezza giornata a settimana e la stragrande maggioranza di questi "telelavoratori" è molto soddisfatto. Un’opzione che piacerebbe anche alla maggior parte del 72% di lavoratori che, invece, è "costretto" tutti i giorni al tragitto casa-ufficio. Un mix flessibile sembra essere la soluzione ideale, perché un’eccessiva distanza dall’ambiente professionale porta a controindicazioni negative. Lo conferma Albertalli che "dopo i primi anni di euforia - dice -, mi sono reso conto che non conducevo una vita tanto ‘sana’ e allora ho ricreato quei sistemi da cui ero scappato: ho aperto una mia agenzia con un ufficio a Ginevra con orari e impiegati, anche per avere una sede vera e propria dove accogliere i clienti. Mi alzo la mattina, vado lì e non ciondolo più in pigiama tutto il giorno per casa. Certo, ho mantenuto la libertà di poter scegliere, se voglio lavorare dal mio domicilio lo faccio ancora". In Svizzera da diversi anni si sono sviluppate forme "alternative" di lavoro. Come il "coworking", la condivisione di spazi professionali per mantenere il contatto umano ma contenere le spese generali. Un settore che interessa maggiormente i lavoratori indipendenti, ma che rappresenta una valida alternativa per chi necessita di grande flessibilità. D’altra parte, ad essere strettamente legata al telelavoro c’è anche la problematica del tragitto tra il domicilio e l’ufficio. Negli ultimi anni, il numero di pendolari è cresciuto, nel 2015 erano 3,9 milioni. La media nazionale indica poi che un lavoratore impiega mezz’ora per arrivare al lavoro, spesso con gravi conseguenze sui flussi di traffico e sull’ambiente. Oltre che sulla qualità di vita delle persone. Stando ad uno studio del 2016, si perdono oltre 120 ore ogni anno imbottigliati nel traffico senza grandi differenze tra i cantoni. Una cifra che, divisa per le canoniche 8 ore di lavoro al giorno, corrisponde a 15 giornate lavorative. Come dire, tre settimane in media all’anno se ne vanno al volante. Infine, da un’analisi tra i 28 Paesi dell’Unione europea è emerso come il telelavoro porti ad un incremento dei disturbi del sonno, più stress e una sensazione di solitudine. Il rapporto coi colleghi e lo scambio di esperienze e opinioni, insomma, è importante anche nell’era del lavoro digitale. "Inoltre, senza colleghi non puoi dare la colpa a nessuno - conclude Albertalli -. Soddisfazioni e delusioni sono solo tue".
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